Gli uomini che hanno fatto Miglionico
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GLI UOMINI CHE HANNO FATTO MIGLIONICO
di Giuseppe Ventura
Oggi, camminando per le vie di Miglionico, il mio paese, in compagnia degli alunni del Liceo Scientifico di Marsico Vetere in visita guidata, ho sentito un vivo desiderio di ripensare alla gente che ha costruito il luogo nel quale vivo. Seguendo anche molte altre volte la guida o i foglietti stampati su MIGLIONICO, subito ho trovato il nome del fondatore: MILONE, se si tratta di persona; oppure MIGLIO, una graminacea; oppure MAGLIO (per corruzione di vocabolo), se si tratta della professione del fabbro artigiano delle nostre contrade. Ingrandisci lo Stemma del ComuneLo stemma riporta un cavaliere — MILONE — vestito di pelle di leopardo su veloce destriero slanciato verso un castello, su drappo d'oro siglato « M ». La dedica è composta di sette «M», che vengono così sviluppate: «Milone - milite - magno - munì - Miglionico - di magnifiche-mura». E' così accontentato l'orgoglio campanilistico! Ma chi era Milone? La storia pone proposte con significati e vicende diverse. Esistono tre MILONI: tutti valorosi. Uno, luogotenente di Pirro, arrivato in questa località tra il Vradanus ed il Cassuentum (Bradano e Basento), vi ha fondato una colonia militare « castrum » chiamandolo dal suo nome Miglionico. Però non morì qui l'azione militare di questo luogotenente di Pirro, perché a lui viene attribuita la resa degli Epiroti e la conseguente consegna di Taranto ed alleati ai Romani. Il secondo Milone, che avrebbe dato il nome a Miglionico è il crotoniate: vincitore nel duello tra Crotone e Sibari. La storia lo definisce « olimpionico », perché vinse come « lottatore » nei « Giochi Olimpici » sei volte, nei « Pitici » sei volte, negli « Istmici » dieci volte, nei « Neemei » nove volte. Fu seguace di Pitagora e morì molto vecchio, vestito da Ercole, preda delle fiere, perché rimasto imprigionato nella spaccatura di un tronco, da cui aveva tolto con la forza delle mani, i cunei. Era smisurata la quantità di cibo necessaria al suo nutrimento e dei liquidi richiesti a saziare la sua sete! Terzo Milone: un capo-ventura, arroccatosi sulla collina di « Cencree », alla guida di stuoli migratori dall'oriente (fenici, siri, babilonesi, ebrei, ecc), diventati invasori, chiese per sé e per i suoi « vitto ed alloggio »; gli autoctoni offrirono tanta terra quanta riusciva a circoscrivere con una pelle di montone: il capitano, presa la pelle, la ridusse in strisce, che riunite bastarono a circoscrivere una collina preziosa perché ricoperta di « grano duro o miglio », chiamata Cencree: di qui « Terra di Cencree », da cui poi « terra preziosa per il grano o il miglio... Miglionico ». Ma « Cencree », oltre essere il nome di una città ionica, per cui si potrebbe far risalire al periodo dell'invasione dei greci, vuoi dire anche: serpente, pietra preziosa, ecc. Altri invece traggono la derivazione « dalla esistenza di molti artigiani-fabbri », poiché nella bottega artigianale vigeva l'uso del MAGLIO, donde poi MAGLIONICO e MIGLIONICO. Per me, anche perché seguo spesso le visite turistiche. ritengo, modestamente, che MIGLIONICO, non derivi dalle persone, ma dalla preziosità delle terre, chiamate così « CENCREE »: sebbene si tratti di leggenda a carattere storico.
IL CASTELLO
A metri 47S s. m., alla punta sud dell'abitato, maestoso di passata potenza feudale, sorge il CASTELLO del MALCONSIGLIO dal tetro medioevo così tramandato, che con le sue potenti muraglie, fortificate da sette torrioni, di cui uno caduto di recente sembra che « guerra mediti all'infinito ». Appare costruito a parallelogramma : l'ingresso attuale è il lato minore. Non ostante le molte mutilazioni barbariche di tutta la merlatura e le sovrastrutture e le varie occupazioni e destinazioni e il terremoto del 1857, il Castello appare ancora capace di sopravvivere e sfidare la storia: all'esterno più bello e potente, di quanto non lo sia all'interno; sette torri di cui tre quadrate, tre agli angoli formate da doppie torri ed una diroccata a destra all'interno del portone non cedono alla deturpazione prodotta da finestre svasate all'esterno, da sporgenze, da persiane verdi, le antenne di televisione: nonostante solenne dichiarazione artistica e giuridica di monumento storico ad interesse nazionale. L'ingresso è al lato nord-ovest: ma l'antico ingresso era a sud (dopo oltrepassato il ponte levatoio), come lo mostra lo stemma dei Bisignano: stemma formato da uno scudo inclinato con una fascia di traverso, sul quale appare un cimiero con morione calato e dalla cui sommità escono due corna (segno di forza e vittoria nei tornei). Accanto alla detta antica porta c'è un avanzo delle due tigri che la fiancheggiavano. Nella « corte del castello » c'è la cisterna con stemma, la scalea antica che conduce al piano nobile attraverso un portale d'ingresso a sesto acuto di ordine teutonico. La scalinata più appariscente è di epoca posteriore di molto, come pure il portico: poiché il Castello fu costruito in epoche diverse. Tutte le spaziose sale ancora esistenti sono in buono stato di conservazione ed hanno volte citate per ammirazione architettonica: la sala della stella; mentre quella «degli sposi» con capriate di legno è ormai cadente! Il Salone maggiore: lungo circa 27 metri, largo 9 metri ed alto pure 9 metri, oltre le grossissime mura, in parte rovinato, era ed è il maggior vanto storico del Castello: peccato che rovinando abbia travolto anche il vano sottostante: qui si svolse la « finta pace di Miglionico tra il Re Ferdinando I° di Aragona ed i Baroni » nel 1845. Il Salone tramandato con tale infamante denominazione « Sala del Malconsiglio » finì per dare tale titolo a tutto il Castello, che così è passato alla storia.
Origine
Chi ha costruito il Castello? La data si perde nell'antichità: si sa solo che «Un tale Alessandro fece fortificare nel 1010 il Castello di Miglionico ». — Chi era Alessandro? Certamente il Conte di Andria e difficilmente il Conte Loffredo di Matera. Questi era un dipendente del Catapano Crisario di Costantinopoli. Però il Castello già esisteva come « torre fortificata » e « cavallina » per lo « scambio di ostaggi e di comunicazioni ». Divenne il Castello « splendido di arte e cultura » per opera di Federico II: così viene ricostruito a forma di stella dopo il terremoto del 1209. Tra imprese e dominazioni diverse diventò arbitro della Storia lucana! Era anche ben recintato da triplici mura: melaniane - miloniane - medievali: oggi in parte visibili ed in parte « inventate »... mentre sono più tangibili le torri normanne e longobarde: ahimè! anch'esse indifese vittime della distruzione edilizia! Fu per molto tempo « estrema difesa » dei Sanseverino, contro la tracotanza di usurpatori ed invasori del suolo della « Corona del regno di Napoli ». Da luogo di virtù e forza si tramutò in luogo di tradimento e con vicende alterne in nobiltà di arte e cultura, nonché difesa della cristianità contro l'oriente turco invasore. Ospitò per ben quattro volte i Vescovi per il Concilio Plenario, per una volta durante 40 giorni il Papa Onorio II, la regina Costanza, il conte Ruggiero di Sicilia divenuto poi duca e re, il re Ferdinando I ed altri illustri ed impareggiabili personaggi. Subì sorti diverse con l'alternanza della feudalità e delle baronie, finché nel 1829 cessò dalla sua funzione e fu consegnato, con un'asta pubblica, ai cittadini, che, da allora, con avvicendamento ereditario o dotale, ne sono venuti in proprietà.
LA SALA MAGGIORE DEL CASTELLO E LA CONGIURA DEI BARONI DEL 1485
II contrasto tra la potestà del Re e i feudatari, vissuti da lungo tempo in sottomissione ed armonia, scoppiò in un ciclo di lotta, che per poter esaurirsi doveva entrare in lotta aperta. I risultati potevano essere diversi: se avesse vinto il Re, allora la monarchia ne sarebbe riuscita rafforzata; se avesse prevalso il feudalesimo si sarebbe addivenuti alla formazione di altri stati autonomi. Questo contrasto si presentò nel Regno di Napoli con il titolo di CONGIURA dei BARONI. In Lucania si ebbero due gravissimi episodi con relative stragi: il Matrimonio di Melfi e la finta pace di Miglionico. In questi episodi il popolo fu estraneo. I Baroni vivevano nei loro castelli, ma non erano contenti del Re di Napoli e tanto meno del figlio Alfonso, duca di Calabria, perché apertamente contrario al Baronaggio: una delle cause per cui la monarchia di Ferdinando I predominava era anche l'appoggio del Papa e la Vittoria d'Otranto contro i turchi. Ma arrivato sulla soglia papale Innocenzo VIII, genovese e nepotista, la fortuna del regno di Napoli si arrestò, poiché venivano combattuti gli Spagnoli che si espandevano nel Mediterraneo. I Baroni più potenti del regno di Napoli allora ordirono la congiura: Sanseverino principe di Salerno e Pirro del Balzo, principe di Altamura: anche alcuni ministri del Re acconsentirono. Ecco i due episodi. Per non dare sospetto, i Baroni lasciano i loro sparsi castelli per partecipare alle nozze che celebra in Melfi il figlio del Duca con la figlia del Conte di Capaccio, della casa dei Sanseverino e accompagnano la sposa da Padula, nel vallo Lucano, a Melfi (Le nozze erano fissate tra Ippolita Sanseverino da Padula e Troiano Caracciolo per il 29 giugno 1485). Qui l'allegria rumorosa copre il tradimento: il Papa promette l’investitura del Regno a Renato d'Angiò e per questo sembrano accettare dei patti. Il Re intanto che si è avvertito della trama arresta il conte di Nola ed altri feudatari: Renato d'Angiò non viene, il Papa non invia soccorsi e si addiviene ad una finta pace. Girolamo Sanseverino, principe di Bisignano e barone di Miglionico, riunisce i baroni nel suo castello ed invita il Re per accordarsi; ma i patti non erano tanto pacifici. I Baroni ottennero che fosse permesso loro di difendersi direttamente, di essere esonerati dal servizio diretto « di persona », bastando « un soldato » come procuratore, ed altri. I messi reali consentirono, ma era necessario che il Re di persona venisse a convalidare quanto pattuito. Il Re non venne il 10 settembre 1485, nella terra di Miglionico con la regina ed il Duca di Calabria. Il Re prese tempo e si allontanò: i baroni lo accompagnarono fino alla Terra del Lavoro: ma su consiglio del Principe di Salerno offrono la corona al figlio secondogenito del Re: questi rifiuta ed è fatto prigioniero. I Baroni a questo punto « si scoprono ed alzano bandiere papali, rompendo in aperta ribellione ». Il Re allora assedia Benevento e le terre del Papa e le devasta: il Papa anche premuto dai Vescovi e dai Cardinali concede la pace al Re Ferdinando e tra gli accordi chiede il « perdono ai Baroni del Regno »: il re promette. Ma la parola non viene mantenuta; con perfida astuzia da mano libera al figlio Alfonso, duca di Calabria: i maggiori feudatari vengono trucidati ed altri dispersi profughi, i castelli rivendicati: tutta l'Europa fu ripiena della vasta e sanguinaria azione repressiva, ed il regno consolidato. La grande Sala delle assise diventò « Sala del Malconsiglio » e tutto il castello diventò cupo per il « malconsiglio »: non solo perché ivi si radunarono i Baroni a congiurare, ma anche perché la fiuta pace ivi conclusa fra Baroni e Re fu siglata col sangue stesso dei Baroni ed a spese degli alleati ed in primis del Papa, che perdette parecchie terre di suo possesso. Era il 2 ottobre 1485: e qui si fermò per Miglionico il titolo! La « finta pace di Miglionico » come episodio della CONGIURA dei BARONI ha storici come il PORZIO, a dire dell'umanista Torraca « non sempre attendibile », e G. PALADINO che con la pubblicazione di atti trovati nell'Archivio degli Estensi e gli atti dei PROCESSI sembra meritare molta fiducia e, fino ad un certo punto, resta « il solo credibile ». Al luglio del 1485 così viene descritta la situazione:
I BARONI napoletani intesi a difendere la propria indipendenza stringono patti segreti con il Papa Innocenzo VIII e chiedono insistenti aiuti a Genova, Milano, Firenze e Venezia… le stesse potenze a cui chiedeva aiuto anche il re Ferdinando! La situazione internazionale consigliava a Ferdinando I la necessità di conservare pace interna. Infatti:
- il Papa era contro gli Aragonesi, inteso come era alla restaurazione del potere;
- Venezia considerava minaccia chiunque potenza avesse velleità espansionistiche nel Mar Mediterraneo;
- Genova aveva come tradizione una politica ostile al Regno di Napoli;
- i Re di Francia si preparavano a far prevalere le mire su Napoli;
- Ludovico il Moro era inteso a pacificare il suo stato per riaffermare il suo dominio;
- Lorenzo de' Medici non aveva certo pretese di ostacolare le forze venete e cercava vita facile e pacifica;
- il Re Cattolico di Spagna, appena calmata la lotta contro i Mori, avrebbe desiderato possedere il Regno Napoletano assegnato alla « linea bastarda » del casato;
- il re d'Ungheria, marito d'una figlia di Ferdinando. era molto lontano ed impegnato in contese nel suo stato.
Conclusione :
Ferdinando I era tra due fuochi: sollevazione interna e invasione straniera. Le condizioni finanziarie del regno sempre « a casse vuote » esigevano equilibrio, poiché gli Aragonesi dovevano grosse somme ai « banchieri fiorentini » residenti a Napoli. Era creditore anche il duca di Ferrara Ercole d'Este. Nel 1485 si aggravarono con sopralasse i contribuenti per circa 200 mila ducati con « grave malcontento dei baroni e niuna utilità alle condizioni del bilancio reale » senza « neppure mezzo carlino ». Si deve anche aggiungere che in quell’anno delle trattative « il raccolto fu definitivamente compromesso » dalle cavallette venute dall'Africa. La guerra avrebbe falcidiato e l'esportazione dei grani dal Regno nelle terre della Chiesa e la dogana delle pecore nella transumanza dall'Abruzzo alla Puglia, per un importo pari a 200 mila ducati. Per quanto sopra detto Ferdinando I decise di recarsi a Foggia e di là a Matera città regia, a sei miglia da Miglionico e di fissare poi d'accordo con i Baroni, la località in cui si sarebbe svolto il colloquio. Pur nutrendo poche speranze e per l’intolleranza del figlio e per la sollevazione dell'Aquila, il 30 settembre il Re si mosse e fu sorpreso dalle liete notizie recategli fino della definitiva pace raggiunta a Miglionico il 2 ottobre coi baroni convenuti: il principe di Altamura, il Gran Siniscalco ed il principe di Bisignano. Situazione uguale alla stipulazione di Venosa, con alcune aggiunte riguardanti il Sanseverino: avrebbe nel giro di un anno recuperata la somma dovuta dal Re e recuperata la gabella delle «sete»; Federico avrebbe sposata Eleonora de' Guevara. figlia del Gran Siniscalco, con appannaggio il principato di Taranto; (Carlotta, figlia di Federico, figlia di Anna di Savoia (nata e vissuta sempre in Francia), avrebbe sposato Berardino di Bisignano. Onesti patti ed altre favorevoli notizie avevano convinto il Vecchio Re Ferdinando I a credere alla conclusione dell’accordo. Ma furono assenti il principe di Salerno e lo stesso principe di Altamura non fece figura di sincerità: Antonello Sanseverino non intervenne alle trattative di Venosa e di Miglionico, come pure Pirro del Balzo abbandonò il castello di Girolamo Sanseverino per non farvi ritorno. E perché alcuni congiurati presero detta decisione? E’ chiaro che dopo il 2 ottobre 1485 «la finta pace di Miglionico » non mancò di dare frutti di tradimento e morte con il progressivo ma totale annientamento dei Baroni. Giunti alla fine i principali congiurati così si trovavano rispetto al re:
- il Principe di Salerno non aderì all'accordo, come lo provano i due nuovi messi recatesi ivi: il principe di Bisignano ed il conte di Sarno;
- il Principe di Altamura si allontanò da Miglionico senza fare più ritorno;
- il Duca di Melfi. Giovanni Caracciolo, dapprima fece omaggio al Re in Foggia e poi fece inviare dalla moglie a Miglionico
- il religioso Fra' Bartolomeo dell'Ordine di S. Agostino di Melfi perché dettasse le condizioni per aderire alla congiura;
- il principe di Bisignano non solo non si presentò al re, ma fu il più attivo a svolgere intrighi dopo il « convegno di Miglionico ».
Quindi la « finta pace di Miglionico » si concluse con la prigionia e la dispersione dei Baroni Congiurati e rimase fatto a sé, senza conseguenti evoluzioni storiche, all'infuori dei due fatti: la sottomissione del Gran Siniscalco e l'investitura del principato di Taranto da parte di Federico d'Aragona: risultati molto magri, per cui così viene descritto: « Alfonso d'Aragona duca di Calabria nell'inverno 1487 reduce dalla Puglia, dopo avere toccata Matera, equitavit et andò ad alloggiare a Miglionico, lo quale li villani lo chiamano — male consiglio —. perché loco li baroni tutti insieme fecero consiglio et dyeta ».
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