Gli uomini che hanno fatto Miglionico

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GLI UOMINI CHE HANNO FATTO MIGLIONICO

di Giuseppe Ventura

Oggi, camminando per le vie di Miglionico, il mio paese, in compagnia degli alunni del Liceo Scientifico di Marsico Vetere in visita guidata, ho sentito un vivo desiderio di ripensare alla gente che ha costruito il luogo nel quale vivo. Seguendo anche molte altre volte la guida o i foglietti stampati su MIGLIONICO, subito ho trovato il nome del fondatore: MILONE, se si tratta di persona; oppure MIGLIO, una graminacea; oppure MAGLIO (per corruzione di vocabolo), se si tratta della professione del fabbro artigiano delle nostre contrade. Ingrandisci lo Stemma del ComuneLo stemma riporta un cavaliere — MILONE — vestito di pelle di leopardo su veloce destriero slanciato verso un castello, su drappo d'oro siglato « M ». La dedica è composta di sette «M», che vengono così sviluppate: «Milone - milite - magno - munì - Miglionico - di magnifiche-mura». E' così accontentato l'orgoglio campanilistico! Ma chi era Milone? La storia pone proposte con significati e vicende diverse. Esistono tre MILONI: tutti valorosi. Uno, luogotenente di Pirro, arrivato in questa località tra il Vradanus ed il Cassuentum (Bradano e Basento), vi ha fondato una colonia militare « castrum » chiamandolo dal suo nome Miglionico. Però non morì qui l'azione militare di questo luogotenente di Pirro, perché a lui viene attribuita la resa degli Epiroti e la conseguente consegna di Taranto ed alleati ai Romani. Il secondo Milone, che avrebbe dato il nome a Miglionico è il crotoniate: vincitore nel duello tra Crotone e Sibari. La storia lo definisce « olimpionico », perché vinse come « lottatore » nei « Giochi Olimpici » sei volte, nei « Pitici » sei volte, negli « Istmici » dieci volte, nei « Neemei » nove volte. Fu seguace di Pitagora e morì molto vecchio, vestito da Ercole, preda delle fiere, perché rimasto imprigionato nella spaccatura di un tronco, da cui aveva tolto con la forza delle mani, i cunei. Era smisurata la quantità di cibo necessaria al suo nutrimento e dei liquidi richiesti a saziare la sua sete! Terzo Milone: un capo-ventura, arroccatosi sulla collina di « Cencree », alla guida di stuoli migratori dall'oriente (fenici, siri, babilonesi, ebrei, ecc), diventati invasori, chiese per sé e per i suoi « vitto ed alloggio »; gli autoctoni offrirono tanta terra quanta riusciva a circoscrivere con una pelle di montone: il capitano, presa la pelle, la ridusse in strisce, che riunite bastarono a circoscrivere una collina preziosa perché ricoperta di « grano duro o miglio », chiamata Cencree: di qui « Terra di Cencree », da cui poi « terra preziosa per il grano o il miglio... Miglionico ». Ma « Cencree », oltre essere il nome di una città ionica, per cui si potrebbe far risalire al periodo dell'invasione dei greci, vuoi dire anche: serpente, pietra preziosa, ecc. Altri invece traggono la derivazione « dalla esistenza di molti artigiani-fabbri », poiché nella bottega artigianale vigeva l'uso del MAGLIO, donde poi MAGLIONICO e MIGLIONICO. Per me, anche perché seguo spesso le visite turistiche. ritengo, modestamente, che MIGLIONICO, non derivi dalle persone, ma dalla preziosità delle terre, chiamate così « CENCREE »: sebbene si tratti di leggenda a carattere storico.

IL CASTELLO

A metri 47S s. m., alla punta sud dell'abitato, maestoso di passata potenza feudale, sorge il CASTELLO del MALCONSIGLIO dal tetro medioevo così tramandato, che con le sue potenti muraglie, fortificate da sette torrioni, di cui uno caduto di recente sembra che « guerra mediti all'infinito ». Appare costruito a parallelogramma : l'ingresso attuale è il lato minore. Non ostante le molte mutilazioni barbariche di tutta la merlatura e le sovrastrutture e le varie occupazioni e destinazioni e il terremoto del 1857, il Castello appare ancora capace di sopravvivere e sfidare la storia: all'esterno più bello e potente, di quanto non lo sia all'interno; sette torri di cui tre quadrate, tre agli angoli formate da doppie torri ed una diroccata a destra all'interno del portone non cedono alla deturpazione prodotta da finestre svasate all'esterno, da sporgenze, da persiane verdi, le antenne di televisione: nonostante solenne dichiarazione artistica e giuridica di monumento storico ad interesse nazionale. L'ingresso è al lato nord-ovest: ma l'antico ingresso era a sud (dopo oltrepassato il ponte levatoio), come lo mostra lo stemma dei Bisignano: stemma formato da uno scudo inclinato con una fascia di traverso, sul quale appare un cimiero con morione calato e dalla cui sommità escono due corna (segno di forza e vittoria nei tornei). Accanto alla detta antica porta c'è un avanzo delle due tigri che la fiancheggiavano. Nella « corte del castello » c'è la cisterna con stemma, la scalea antica che conduce al piano nobile attraverso un portale d'ingresso a sesto acuto di ordine teutonico. La scalinata più appariscente è di epoca posteriore di molto, come pure il portico: poiché il Castello fu costruito in epoche diverse. Tutte le spaziose sale ancora esistenti sono in buono stato di conservazione ed hanno volte citate per ammirazione architettonica: la sala della stella; mentre quella «degli sposi» con capriate di legno è ormai cadente! Il Salone maggiore: lungo circa 27 metri, largo 9 metri ed alto pure 9 metri, oltre le grossissime mura, in parte rovinato, era ed è il maggior vanto storico del Castello: peccato che rovinando abbia travolto anche il vano sottostante: qui si svolse la « finta pace di Miglionico tra il Re Ferdinando I° di Aragona ed i Baroni » nel 1845. Il Salone tramandato con tale infamante denominazione « Sala del Malconsiglio » finì per dare tale titolo a tutto il Castello, che così è passato alla storia.

Origine

Chi ha costruito il Castello? La data si perde nell'antichità: si sa solo che «Un tale Alessandro fece fortificare nel 1010 il Castello di Miglionico ». — Chi era Alessandro? Certamente il Conte di Andria e difficilmente il Conte Loffredo di Matera. Questi era un dipendente del Catapano Crisario di Costantinopoli. Però il Castello già esisteva come « torre fortificata » e « cavallina » per lo « scambio di ostaggi e di comunicazioni ». Divenne il Castello « splendido di arte e cultura » per opera di Federico II: così viene ricostruito a forma di stella dopo il terremoto del 1209. Tra imprese e dominazioni diverse diventò arbitro della Storia lucana! Era anche ben recintato da triplici mura: melaniane - miloniane - medievali: oggi in parte visibili ed in parte « inventate »... mentre sono più tangibili le torri normanne e longobarde: ahimè! anch'esse indifese vittime della distruzione edilizia! Fu per molto tempo « estrema difesa » dei Sanseverino, contro la tracotanza di usurpatori ed invasori del suolo della « Corona del regno di Napoli ». Da luogo di virtù e forza si tramutò in luogo di tradimento e con vicende alterne in nobiltà di arte e cultura, nonché difesa della cristianità contro l'oriente turco invasore. Ospitò per ben quattro volte i Vescovi per il Concilio Plenario, per una volta durante 40 giorni il Papa Onorio II, la regina Costanza, il conte Ruggiero di Sicilia divenuto poi duca e re, il re Ferdinando I ed altri illustri ed impareggiabili personaggi. Subì sorti diverse con l'alternanza della feudalità e delle baronie, finché nel 1829 cessò dalla sua funzione e fu consegnato, con un'asta pubblica, ai cittadini, che, da allora, con avvicendamento ereditario o dotale, ne sono venuti in proprietà.

LA SALA MAGGIORE DEL CASTELLO E LA CONGIURA DEI BARONI DEL 1485

II contrasto tra la potestà del Re e i feudatari, vissuti da lungo tempo in sottomissione ed armonia, scoppiò in un ciclo di lotta, che per poter esaurirsi doveva entrare in lotta aperta. I risultati potevano essere diversi: se avesse vinto il Re, allora la monarchia ne sarebbe riuscita rafforzata; se avesse prevalso il feudalesimo si sarebbe addivenuti alla formazione di altri stati autonomi. Questo contrasto si presentò nel Regno di Napoli con il titolo di CONGIURA dei BARONI. In Lucania si ebbero due gravissimi episodi con relative stragi: il Matrimonio di Melfi e la finta pace di Miglionico. In questi episodi il popolo fu estraneo. I Baroni vivevano nei loro castelli, ma non erano contenti del Re di Napoli e tanto meno del figlio Alfonso, duca di Calabria, perché apertamente contrario al Baronaggio: una delle cause per cui la monarchia di Ferdinando I predominava era anche l'appoggio del Papa e la Vittoria d'Otranto contro i turchi. Ma arrivato sulla soglia papale Innocenzo VIII, genovese e nepotista, la fortuna del regno di Napoli si arrestò, poiché venivano combattuti gli Spagnoli che si espandevano nel Mediterraneo. I Baroni più potenti del regno di Napoli allora ordirono la congiura: Sanseverino principe di Salerno e Pirro del Balzo, principe di Altamura: anche alcuni ministri del Re acconsentirono. Ecco i due episodi. Per non dare sospetto, i Baroni lasciano i loro sparsi castelli per partecipare alle nozze che celebra in Melfi il figlio del Duca con la figlia del Conte di Capaccio, della casa dei Sanseverino e accompagnano la sposa da Padula, nel vallo Lucano, a Melfi (Le nozze erano fissate tra Ippolita Sanseverino da Padula e Troiano Caracciolo per il 29 giugno 1485). Qui l'allegria rumorosa copre il tradimento: il Papa promette l’investitura del Regno a Renato d'Angiò e per questo sembrano accettare dei patti. Il Re intanto che si è avvertito della trama arresta il conte di Nola ed altri feudatari: Renato d'Angiò non viene, il Papa non invia soccorsi e si addiviene ad una finta pace. Girolamo Sanseverino, principe di Bisignano e barone di Miglionico, riunisce i baroni nel suo castello ed invita il Re per accordarsi; ma i patti non erano tanto pacifici. I Baroni ottennero che fosse permesso loro di difendersi direttamente, di essere esonerati dal servizio diretto « di persona », bastando « un soldato » come procuratore, ed altri. I messi reali consentirono, ma era necessario che il Re di persona venisse a convalidare quanto pattuito. Il Re non venne il 10 settembre 1485, nella terra di Miglionico con la regina ed il Duca di Calabria. Il Re prese tempo e si allontanò: i baroni lo accompagnarono fino alla Terra del Lavoro: ma su consiglio del Principe di Salerno offrono la corona al figlio secondogenito del Re: questi rifiuta ed è fatto prigioniero. I Baroni a questo punto « si scoprono ed alzano bandiere papali, rompendo in aperta ribellione ». Il Re allora assedia Benevento e le terre del Papa e le devasta: il Papa anche premuto dai Vescovi e dai Cardinali concede la pace al Re Ferdinando e tra gli accordi chiede il « perdono ai Baroni del Regno »: il re promette. Ma la parola non viene mantenuta; con perfida astuzia da mano libera al figlio Alfonso, duca di Calabria: i maggiori feudatari vengono trucidati ed altri dispersi profughi, i castelli rivendicati: tutta l'Europa fu ripiena della vasta e sanguinaria azione repressiva, ed il regno consolidato. La grande Sala delle assise diventò « Sala del Malconsiglio » e tutto il castello diventò cupo per il « malconsiglio »: non solo perché ivi si radunarono i Baroni a congiurare, ma anche perché la fiuta pace ivi conclusa fra Baroni e Re fu siglata col sangue stesso dei Baroni ed a spese degli alleati ed in primis del Papa, che perdette parecchie terre di suo possesso. Era il 2 ottobre 1485: e qui si fermò per Miglionico il titolo! La « finta pace di Miglionico » come episodio della CONGIURA dei BARONI ha storici come il PORZIO, a dire dell'umanista Torraca « non sempre attendibile », e G. PALADINO che con la pubblicazione di atti trovati nell'Archivio degli Estensi e gli atti dei PROCESSI sembra meritare molta fiducia e, fino ad un certo punto, resta « il solo credibile ». Al luglio del 1485 così viene descritta la situazione:

I BARONI napoletani intesi a difendere la propria indipendenza stringono patti segreti con il Papa Innocenzo VIII e chiedono insistenti aiuti a Genova, Milano, Firenze e Venezia… le stesse potenze a cui chiedeva aiuto anche il re Ferdinando! La situazione internazionale consigliava a Ferdinando I la necessità di conservare pace interna. Infatti:

  • il Papa era contro gli Aragonesi, inteso come era alla restaurazione del potere;
  • Venezia considerava minaccia chiunque potenza avesse velleità espansionistiche nel Mar Mediterraneo;
  • Genova aveva come tradizione una politica ostile al Regno di Napoli;
  • i Re di Francia si preparavano a far prevalere le mire su Napoli;
  • Ludovico il Moro era inteso a pacificare il suo stato per riaffermare il suo dominio;
  • Lorenzo de' Medici non aveva certo pretese di ostacolare le forze venete e cercava vita facile e pacifica;
  • il Re Cattolico di Spagna, appena calmata la lotta contro i Mori, avrebbe desiderato possedere il Regno Napoletano assegnato alla « linea bastarda » del casato;
  • il re d'Ungheria, marito d'una figlia di Ferdinando. era molto lontano ed impegnato in contese nel suo stato.

Conclusione :

Ferdinando I era tra due fuochi: sollevazione interna e invasione straniera. Le condizioni finanziarie del regno sempre « a casse vuote » esigevano equilibrio, poiché gli Aragonesi dovevano grosse somme ai « banchieri fiorentini » residenti a Napoli. Era creditore anche il duca di Ferrara Ercole d'Este. Nel 1485 si aggravarono con sopralasse i contribuenti per circa 200 mila ducati con « grave malcontento dei baroni e niuna utilità alle condizioni del bilancio reale » senza « neppure mezzo carlino ». Si deve anche aggiungere che in quell’anno delle trattative « il raccolto fu definitivamente compromesso » dalle cavallette venute dall'Africa. La guerra avrebbe falcidiato e l'esportazione dei grani dal Regno nelle terre della Chiesa e la dogana delle pecore nella transumanza dall'Abruzzo alla Puglia, per un importo pari a 200 mila ducati. Per quanto sopra detto Ferdinando I decise di recarsi a Foggia e di là a Matera città regia, a sei miglia da Miglionico e di fissare poi d'accordo con i Baroni, la località in cui si sarebbe svolto il colloquio. Pur nutrendo poche speranze e per l’intolleranza del figlio e per la sollevazione dell'Aquila, il 30 settembre il Re si mosse e fu sorpreso dalle liete notizie recategli fino della definitiva pace raggiunta a Miglionico il 2 ottobre coi baroni convenuti: il principe di Altamura, il Gran Siniscalco ed il principe di Bisignano. Situazione uguale alla stipulazione di Venosa, con alcune aggiunte riguardanti il Sanseverino: avrebbe nel giro di un anno recuperata la somma dovuta dal Re e recuperata la gabella delle «sete»; Federico avrebbe sposata Eleonora de' Guevara. figlia del Gran Siniscalco, con appannaggio il principato di Taranto; (Carlotta, figlia di Federico, figlia di Anna di Savoia (nata e vissuta sempre in Francia), avrebbe sposato Berardino di Bisignano. Onesti patti ed altre favorevoli notizie avevano convinto il Vecchio Re Ferdinando I a credere alla conclusione dell’accordo. Ma furono assenti il principe di Salerno e lo stesso principe di Altamura non fece figura di sincerità: Antonello Sanseverino non intervenne alle trattative di Venosa e di Miglionico, come pure Pirro del Balzo abbandonò il castello di Girolamo Sanseverino per non farvi ritorno. E perché alcuni congiurati presero detta decisione? E’ chiaro che dopo il 2 ottobre 1485 «la finta pace di Miglionico » non mancò di dare frutti di tradimento e morte con il progressivo ma totale annientamento dei Baroni. Giunti alla fine i principali congiurati così si trovavano rispetto al re:

  • il Principe di Salerno non aderì all'accordo, come lo provano i due nuovi messi recatesi ivi: il principe di Bisignano ed il conte di Sarno;
  • il Principe di Altamura si allontanò da Miglionico senza fare più ritorno;
  • il Duca di Melfi. Giovanni Caracciolo, dapprima fece omaggio al Re in Foggia e poi fece inviare dalla moglie a Miglionico
  • il religioso Fra' Bartolomeo dell'Ordine di S. Agostino di Melfi perché dettasse le condizioni per aderire alla congiura;
  • il principe di Bisignano non solo non si presentò al re, ma fu il più attivo a svolgere intrighi dopo il « convegno di Miglionico ».

Quindi la « finta pace di Miglionico » si concluse con la prigionia e la dispersione dei Baroni Congiurati e rimase fatto a sé, senza conseguenti evoluzioni storiche, all'infuori dei due fatti: la sottomissione del Gran Siniscalco e l'investitura del principato di Taranto da parte di Federico d'Aragona: risultati molto magri, per cui così viene descritto: « Alfonso d'Aragona duca di Calabria nell'inverno 1487 reduce dalla Puglia, dopo avere toccata Matera, equitavit et andò ad alloggiare a Miglionico, lo quale li villani lo chiamano — male consiglio —. perché loco li baroni tutti insieme fecero consiglio et dyeta ».

 


 

ETTORE FIERAMOSCA

Conte di Miglionico: 2 novembre 1487

Questo personaggio nobilita il Castello di Miglionico e lo rende valido per quei duri tempi di sollevazione contro i francesi invasori chiamati dal Papa. Sotto la signoria del Fieramosca la vita del feudo diventò prospera e il nome divenne celebre. Dopo il fatto d'armi di Barletta tra Francesi ed Italiani capitanati da E. Fieramosca, a « quest'ultimo uscito coi segni di vittoria dal campo della disfida, fu concesso il titolo di Conte di Miglionico ». L'Enciclopedia Treccani voce Barletta dice: « Ettore Fieramosca ebbe conferma dei suoi feudi ed il titolo di Conte di Miglionico »... Ad Ettore Fieramosca fu dato sul campo, in aggiunta ai titoli nobiliari e feudali della famiglia, il titolo di Conte di Miglionico e Signore di Acquara. Fu veramente conte di Miglionico il Fieramosca e ritenne il « feudo come prediletto »? Nel restauro della Civica Chiesa « S. Maria delle Grazie », di recente nel 1972, venne alla luce un bellissimo affresco attribuito da studiosi della storia locale e dalla soprintendenza alle belle arti, al periodo del sec. XV: raffigura da una parte un corteo con clero (vescovo-sacerdoti-religiosi-congreghe, ecc. con insegne religiose) autorità e popolo che incedono in processione verso l'immagine gloriosa della Vergine (rimasta solo in parte perché al centro dell'affresco nel 1800 vi fu aperto un finestrone) e dall'altra parte il Signore con la corte e le schiere di soldati che alzano le armi verso la Vergine: sopra un cartiglio con diciture di gratitudine del popolo miglionichese e del feudatario che viene distinto dallo stemma del Fieramosca. Ugualmente altri due stemmi sono collocati in detta Chiesa Civica sotto l'affresco della Natività di Maria e sulla vela delle campane. Ma ancora come se non bastasse viene fatta risalire all'eroe di Barletta la dotazione di alcune terre in località « Porticella di Pomarico » in agro di Miglionico alla « B. V. Maria delle Grazie » perché la « festa sia la principale » non solo nell'abitato, ma anche in agro. Le due feste vengono sempre celebrate: una il giorno 8 settembre: Natività di Maria SS.ma e l'altra la 3° domenica di settembre. Tutti gli atti medievali e meno parlano sempre di detta iniziativa come dovuta al Conte di Miglionico Ettore Fieramosca. Perfino il vecchio « pallio » della Congrega di S. Maria delle Grazie, conservato dal Parroco, porta nel rovescio lo stemma di E. Fieramosca, come si trova nella « Cantina della Disfida » a Barletta. Nel centro storico da molti anni c'è una via dedicata ad E. Fieramosca, come c'è quella dedicata al Re Milone. Urbano II fu anche ospite del Castello di Miglionico nel 1092, quando si recò a Matera.

DOPO LA CONGIURA

La sorda lotta tra monarchia e feudalesimo era ormai alla fine. Il Re Ferdinando I mosse contro le terre del Papa, il quale chiese la pace e provocò la distruzione dei Baroni congiurati in vari punti: Diano o Sala Consilina, Melfì con Venosa, Tramutola e, per limitarci alla terra di Miglionico si deve ricordare che alla metà di dicembre un nerbo di fanti e di cavalieri assaltò violentemente e occupò le terre ed il castello stesso. Lo stesso Girolamo Sanseverino con Luca scamparono la morte con la fuga ma caddero nel 1487 prigionieri e poi al 23 luglio lasciarono il capo sul patibolo, come altri feudatari. L'autorità regia aveva trionfato sul feudalesimo e nella stessa larga Sala del Malconsiglio fu imbandita la festa della vittoria. Il figlio del decapitato Barone Girolamo Sanseverino, Pietrantonio profittò della disfatta del Re dagli Spagnoli per riavere il feudo (1515) che riebbe e vendette ai Pignatelli (1536) col patto del riscatto. Senza più parlare di tali trapassi occorre ricordare che nell'anno 1526 essendovi guerra tra Spagna e Francia, Miglionico si difese strenuamente e dal Castello e dalle Torri di cinta e fortificazioni respinse l'invasione Francese. I cittadini si difesero contro i Francesi, comandati da tale Annecie. Il Castello passò poi agli Orsini ed infine ai Revertera. Ma la storia feudale era terminata.

LE PORTE E TORRI

Solo i nomi sono sufficienti a descrivere l'attività e l’importanza dei personaggi che hanno costruito questa nostra comunità. Le recenti ricerche hanno svelato origini e ritrovamenti che vanno fin da lontani secoli IX e IV a.c.: suppellettili e arredi tombali, mosaici di pavimentazione, opere idrauliche dell'età archeologica di primaria importanza. L'alluvione del 19 settembre 1976, con una frana, sotto la Torre del Fino, svelò l'esistenza di una necropoli con arredi vascolari, oggetti di bronzo, ornamenti militari e muliebri e infantili del sec. VI a.c. ed ho avuto occasione di prendere in mano resti calcificati e polverizzati di quegli antichi antenati. Gli oggetti rinvenuti sono finiti nel Museo Ridola di Matera.

Le porte sono ai quattro cardini dell'abitato, secondo il tracciato storico: Porta Pomarico o Varanus ad est, Porta S. Sofia o Polaris al nord, Porta Grottole o Suillina da Silla ad ovest; Porta Meridie o Mezzogiorno verso l'attuale Castello al sud. In questi tempi, un vecchio scrittore. Lupo Protospata, parla di questi luoghi descrivendoli unici. Si parla anche dell'alleanza di Miglionico con gli Entri, riuniti a Montalbano Jonico. Larghe tracce hanno lasciato nell'architettura gl'invasori bizantini, normanni, greci e longobardi.

LA CHIESA MADRE

Intanto anche i fondamenti della religione cristiana ai tempi apostolici si diffondevano fra gli abitanti di Miglionico, i quali riservavano nel loro abitato, ben chiuso e ben costruito, dei luoghi migliori per dedicarli al culto ed erigendoli in « luoghi sacri ». La Chiesa Madre, in fase di restaurazione e chiusa al culto da dieci anni circa, è stata oggetto di studi e ricerche da parte della Soprintendenza ai Monumenti ed è stata ritenuta un « monumento » molto importante ed « unico » della Basilicata, tanto che il Ministero della Pubblica Istruzione e dei Beni Culturali ha deciso di restaurare a spese proprie. Essa fu sede di Vescovi e di 3 Cardinali: dal 1200 al 1682, com'è stato recentemente pubblicato da uno storico vaticano, prof. Luigi Russo, nelle « Collette » delle Insigni Chiese Latine del Mezzogiorno d'Italia… Ne restano tracce importanti nei monumenti sepolcrali vescovili, scoperti nel restauro del 1974. Attualmente risulta composta da almeno tre edifici sovrapposti e in tempi diversi: con un tiburio di stile basilicale greco-bizantino sulla navata centrale, a cinque absidi con cupola greco-bizantina ed altare. Sul lato sinistro si erge una Torre romanica a tre ordini con altirilievi di Madonna con Bambino, S. Pietro.,S. Paolo, Sant' Emidio vescovo e S. Michele. Si accede al sacro edificio da un portale romanico-gotico. intagliato nella pietra ed una Porta Piccola di ricco stile barocco, con una pregevole figurazione in pietra della « Pietà ». Nel 1975 i lavori di restauro evidenziarono anche una « Chiesa per i Sacramenti » dell'iniziazione cristiana, secondo gli antichissimi Sacramentari orientali e romano-latini. Sotto il Campanile vi è costruita una lunga e solidi CRIPTA NORMANNA, con artistiche ed eleganti arcate in pietra e distinti sedili murali perimetrali. Accanto vi stanno singolari sepolture dei « Canonici Latini », che fin al 1875 resero illustre questa Chiesa « Collegiata Insignita e ricettizia »: il « canonico » non veniva deposto nella bara, ma rivestito dei sacri paramenti, pari alla dignità e grado, veniva tumulato seduto su ben forgiata nicchia e soltanto dopo la decomposizione le ossa venivano deposte in luogo sotterraneo appartato. Ho provato un'impressione del tutto singolare per la grandezza sproporzionata delle ossa longitudinali che io stesso ho veduto. Le misure sono tali che facevano pensare a stature gigantesche di quei « preti, vescovi o cardinali ». Ho provato anche una particolare suggestione quando sono sceso nelle cripte sotto la navata centrale al vedere nelle [se sei vivo batti un colpo... ] volte una « mano », una «martellina» con la data 1796 e la scritta « se sei vivo batti un colpo » (tutto in calco di gesso). Era l’anno della pestilenza ed i corpi degli appestati, vivi o morti, venivano letteralmente gettati dalle « forge », che comunicavano col pavimento della Chiesa. E il 9 dicembre sempre del 1975 su interessamento di D. Mario, a spese del Ministero della Sanità, con l'intervento del Sindaco, le cripte furono vuotate dalle ossa umane e circa 2.000 salme, raccolte in molti sacchi di plastica, su autocarri, alle prime luci dell'alba, sono state traslate alle fosse comuni del Cimitero Comunale, onde permettere agli operai di continuare a scavare per ultimare le ricerche. Suonava, allora, lugubre, prima dello spuntare del sole, il « campanone » di molte tonnellate, e nello stesso giorno fu deposto... ed ha cessato temporaneamente il suo servizio in attesa di ritornare al suo posto. Durante i lavori sono stati scoperti dipinti preziosi su tela di autori insigni: l'Assunzione del Tintoretto, la Deposizione di scuola michelangiolesca, la Presentazione e Madonna con Santi del Guercino, una Via Crucis di pregevole fattura napoletana del 600, una statua in pietra di S. Lucia di Stefano da Putignano del 1400, dodici statue lignee di scuola veneta del sec. XV1T. tele del Ferri del 1600, paramenti e stoffe di pregevole fattura dal sec. XTT al XVIIT, argenteria, reliquiari. calici, incensieri, ostensori, legni dorati. Non posso a questo punto non presentare il celeberrimo Polittico del Cima da Conegliano. di cui mi riservo parlare a parte.

LA COMUNITÀ' GRECA

largo S. Nicola dei Greci

Lasciata la comunità latina desidero parlare, per qualche momento della Comunità greca sita nell'attuale Largo S. Nicola dei Greci. Questa comunità risale all'antico periodo dei greci. posti sotto la supremazia dell’archieptarchia (sette chiese principali: sette doni dello Spirito Santo o sette finestrelle) di Otranto. come si può vedere nella porta istoriata della Basilica Cattedrale di Otranto. La Comunità cristiana di Miglionico era presieduta dall' ABBAS e contava trenta monaci affiliati per i servizi di ufficiatura in lingua e rito greco, mescolato al bizantino. Unica relazione era « l’aghìa »: S. Nicola, che invece al Rione Torchiano diventa S. Nicola da Bari ed al Castello dei Baroni S. Nicola da Myra. Del rito greco restano documenti che io vedo e tocco continuamente. « Largo S. Nicola » con portali e finestre greche, croci pettorali e collane di argento e ori pervenuti a Don Mario dagli abitanti della zona: anello con reliquie di santo greco, consegnato dal muratore nel 1975; una croce pettorale con collana di fattura greca conservata in astuccio di legno, consegnata dal proprietario della casa, durante i lavori di restauro nel 1976 a Don Mario; insegne greco-bizantine nei vestimenti ecclesiastici di Don Mario: veste talare nera (latina) con ornamenti verdi-oro (rito greco) col titolo di «Abbate e Protonotario apostolico» del Parroco-curato dell'insigne collegiata di S. Maria di Miglionico dal 1796. L'opera del Clero e della Comunità di Miglionico a questo punto è legata a due fenomeni di tempi consecutivi: il periodo delle migrazioni basiliane e delle crociate: due argomenti che mi invitano a parlare del ricco apporto culturale e religioso di Miglionico.

MIGRAZIONI BASILIANE

A seguito della presa di posizione contro Roma ed in modo particolare contro il Sacro Romano Impero che opponeva alla capitale imperiale bizantina Roma come centro di un'azione e movimento dominatore chiamata « sacra », perché coinvolta anche la Chiesa Latina contro la diplomazia ed ecumenica posizione del Patriarca di Bizanzio, i monaci della REGOLA di S. BASILIO, al seguito del fatto e della posizione di Eudossia. - divorziata imperatrice, — si schierarono contro il potere laico per la posizione ecclesiastica latina, quindi dovettero emigrare in cerca di nuovi lidi dove svolgere la loro vita monastica. Da qui l'emigrazione in occidente dei Monaci di S. Basilio in cerca di nuove abitazioni che rispecchiassero la caratteristica di silenzio e vita cenobitica. Essi approdarono con la loro povertà umana, ma ricchi di spiritualità, alle sponde della Peucezia e seguendo la viabilità romana vennero ai grandi bacini silenziosi, idonei alla loro vita, nella Longobardia, nelle valli del Taras e Vradanus, favorite da dimensioni geologiche del tufo. Il fenomeno si integra nella situazione della popolazione locale che abitava in casa e adorava la divinità chiusa e scavata nel tufo. Il fenomeno viene oggi catalogato storicamente come migrazione basiliana e cripte tufacee, collegata all'unico fenomeno trogloditico del mondo: « i Sassi di Matera ». Degne di risonanza mondiale sono le Cripte del Peccato Originale, di S. Lucia, del Cristo, di S. Leonardo al Bradano: limite dei confini tra l'agro di Miglionico e quello Materano. Detto fenomeno coincise con l'anno dell'incoronazione di Carlo Magno a Roma (Natale dell' 800) fino alla prima Crociata con Goffredo di Buglione anno 1099. Inoltre il fenomeno si avvicinò molto all'abitato con le celle ovoidali che ancora si trovano in località « Sant'Antuono » (attuale campo sportivo) vicino alla Fontana della Fabbricata: esistono numero tre celle.

LE CROCIATE

I crociati calati dal nord (composti di soldati, commercianti, popolani, servi della gleba, preti, monaci, ecc.) diretti in Oriente con ogni mezzo e armati in ogni modo, per i quali l'arrivo nel mezzogiorno dell' Europa poteva coincidere, se avevano i mezzi, con l’imbarco della spedizione verso la Palestina. Ugualmente molti invece arrivavano stremati di forze fisiche, perché superstiti di malattie contagiose o di briganteschi atti di rapina, non pensavano più alla Palestina per liberare il S. Sepolcro, ma alla propria sopravvivenza. Infatti avendo ormai esaurito l'ideale, venuto meno il capitale economico, considerando miracolo il trovarsi vivi a tanta ventura, finivano con acquisire dimora. In questo periodo, dalla prima alla quarta crociata, la comunità di Miglionico ebbe ben 14 archimandriti (capi del clero greco locale) di origine veneta o d'oltralpe. Per i miglionichesi di allora « Veneto » voleva dire crociato pervenuto in luogo con soldatesche o navi della Repubblica Veneta, alla insegna di S. Marco e lasciati derelitti sulle rive della penisola italica, perché privi di mezzi per viaggiare più oltre... e la potenza veneta era avida di denaro, in qualsiasi modo procurato! Durante la IV Crociata avvenne la Congiura dei Baroni! La Comunità di Miglionico sopportò il peso di molti Crociati d'oltralpe, svernanti nel centro abitato o nelle ricche masserie del ben coltivato agro. In questo periodo Miglionico è stata anche sede Cardinalizia col titolare Card. Vincenzo Palmieri, mandatovi dal Papa e poi diventato vicegovernatore di Milano, alla cui ben lodata memoria va ascritto che la sede di « S. Maria Maggiore » di Miglionico diventasse obbligatoriamente « censuaria » alla « Signoria milanese », che spadroneggiava, raggiungendo il colmo con la Famiglia Borromeo, nell'abbazia di S. Michele Arcangelo di Monticchio e di Montescaglioso e Miglionico e giù giù fino a Lecce... nominando e creando vescovi, abbati, arcipreti feudatari di detta signoria. Aggiungo due documenti di quanto asserito: di abbati ed arcipreti, ecc. e di censualità. A vergogna nostra e del mezzogiorno va ricordato che gli esattori dei Cardinali erano così fiscali da non dare spazio economico per « comperare le candele di cera da mettere sull'altare », per la celebrazione liturgica, secondo il verbale dei PP. Cappuccini che officiavano sotto i Borromeo l'Abbazia di S. Michele Arcangelo di Monticchio, abbandonata dai PP. Benedittini. Questo periodo resta un miserabile atto di depredazione ai danni della cultura meridionale e dell'economia locale. Infatti venivano portati via non solo elementi economici, ma anche intellettuali ed operativi dell'umanesimo meridionale, dando luogo ad una « subdola ma reale questione meridionale » fin dal medio evo... fenomeno che si aggraverà ed esploderà nell'unitarismo italiano del 1860 con Garibaldi ed il ritorno nel sud dei... piemontesi!

ONORIO II - al Bradano

Nell'anno 1128 presso le sponde del Bradano al Vaddone Petroso, in agro di Miglionico, si accamparono Papa Onorio II ed il Conte Ruggiero, scomunicato dal Papa, perché voleva il Ducato di Calabria e Puglia senza dipendere dalla Santa Sede. Ruggiero con poderoso esercito di Siciliani passò lo stretto e s'impossessò di Taranto, Otranto, Brindisi ed altre città e raggiunse il Papa. Per 40 giorni gli eserciti pontificio e ducale stettero di fronte senza mai guadare il fiume finché il Papa per la stagione inoltrata e le febbri malariche diffuse tra i soldati, per mancanza di viveri e di mezzi per affrontare le paghe, scese a patti con Ruggiero e gli diede l'investitura di Duca delle Calabrie e della Puglia, Dopo 20 giorni di sosta al Castello di Miglionico si ritirò a Benevento. Mentre il Papa si ritirava verso Roma, Ruggiero sottomise le terre attribuitegli e convocò a Melfi per il 1129 o 1130 i signori, i vescovi, gli abbati di Calabria, Peucezia, Salenzia, Bruzia, Lucania e Campania. In tale occasione Ruggiero sarà anche ospite del Castello di Miglionico; non era ancora Re delle Sicilie, ecc.

CIMA DA CONEGLIANO

[Don Marc'Antonio Mazzone in un dipinto di Michelangelo Laforgia] E' legato al nome di chi lo ha procurato col suo personale sacrificio: il Dr. Can.co MARCANTONIO MAZZONE, vissuto tra il 1545 ed il 1626. Confortato nella lontananza dal Paese dalla sua dote di umanista latino, compositore e amico personale del T. Tasso, che incontrò alla corte di Vincenzo Gonzaga di Mantova e nelle varie corti dove ebbe la sorte di capitare, come Ferrara, Venezia presso i Dogi, Vienna alla corte imperiale degli Asburgo, Pietroburgo alla corte degli Zar delle Russie ed a Parigi come legato pontificio al seguito del Card. Aldobrandini, diede molto lustro e fama alla terra di origine. Però ci teneva anche ad essere onorato a Miglionico e per questo con tutti i suoi risparmi fece comprare dal Duca Vincenzo Gonzaga di Mantova le belle 18 tavole del Cima da Conegliano; si sa che furono comperate a Lipsia e poi inviate a Miglionico con lo scopo di essere nominato Arciprete. La cosa non ebbe il desiderato effetto e scoraggiato ed avvilito non scrisse più, non compose più nulla e per sopperire al debito rimasto ancora inevaso la Repubblica Veneta... comprò dai Gonzaga il Mazzone ... il quale « cambiato paese cambiata fortuna » (come si dice da noi!) riprese tutto il suo spirito primitivo con canti e composizioni latine e in bello stile, tanto da essere catalogato tra i più valenti secentisti veneti: e qui fu scoperto e « riabilitato » anche a Miglionico da Don Mario... perché si pensava che il Polittico fosse stato comperato nel 1742, come sta scritto sulla cornice di legno attuale del Polittico, dalla famiglia miglionichese dei Del Pozzo, citando che sulla tavola centrale si leggeva lo stemma di detta famiglia: stemma che fu cancellato nel 1964 durante il restauro, perché apocrifo. Queste 18 tavole dapprima erano collocate nella cantoria della Chiesa Madre; rifatto l'organo e ricostruita la cantoria le tavole furono tolte e accantonate, finché la famiglia Del Pozzo nel 1742 le fece ricomporre proprio nella vecchia cornice di facciata dell'organo demolito: cornice in stucco e oro zecchino: attualmente i dipinti così si trovano disposti; i PP. Riformati venuti in possesso vi apposero alla cimasa una specie di baldacchino di ricco barocco con lo stemma francescano e diedero il titolo al Polittico di « Madonna del Carmine », cui era intitolato il Convento annesso dei PP. Cappuccini... e si fece festa. Però il valore dell'opera fu definita da un tedesco nel 1909 che si chiamava Wackernagel e da allora tutti si sono dati da fare perché l'opera fosse custodita e si scrissero anche tanti articoli: alcuni belli, altri anche un po' strani: tutti quelli che conosco io sono incompleti, perché nessun autore ha nominato tutti i santi dipinti... anzi nel 1923 l'avv. Niccolo De Ruggieri da Miglionico alcuni santi li chiamò «e strani santi... con la scimitarra in testa! ». Io ho chiesto e sono in grado di dire il nome di tutti a cominciare dall'alto.

Cristo Risorto (non passo!)

Angelo dell'Annunciazione

Vergine Annunziata

S. Chiara d'Assisi

S. Ludovico vescovo

S. Bernardino confessore

S. Caterina d'Alessandria

S. Francesco confessore di Assisi

S. Paolo ridipinto in S. Girolamo

S. Pietro Apostolo, con le chiavi

S. Antonio da Padova

S. Berardo, martire del « Marrocco »

S. Pietro, martire del « Marrocco »

S. Adiuto, martire del « Marrocco »

S. Accursio, martire del « Marrocco »

S. Ottone, martire del « Marrocco »

S. Bonaventura, vescovo e dott.

Nascita di Gesù (dispersa nel 1917).

Perché il Mazzone abbia comperato il Cima da Conegliano è abbastanza noto agli studiosi dello scorcio storico: anzitutto perché l'autore Veneto era abbastanza noto e giovane: due qualità che lo distinguevano. Noto poiché pagava « le fiscalità alla repubblica veneta, da cui dipendeva Conegliano, fin dalla pubertà, per lavoro artigianale diverso dall'arte paterna: cimatore di lana »; l'arte diversa era la pittura e la Repubblica veneta, che funzionava con metodi quasi perfetti ed ad orologeria per le tassazioni, non si fece sfuggire questo abitante dei colli di Conegliano fin dai primi anni dell'esercizio. Giovane e talvolta scapestrato, sempre per il libero esercizio della sua arte contro l'imposizione della famiglia che lo reclamava cimatore: fu ricondotto due volte da Venezia dove aveva trovato rifugio, e in pubblica piazza a Conegliano, picchiato dagli «sbirri Veneti con dieci colpi a culo nudo (!) e riportato alla famiglia»! Le altre notizie sono abbastanza note: una prima rivoluzione miglionichese del 1913 e la seconda molto clamorosa nel 1963, prima che le tavole fossero prestate per 1'Esposizione della Mostra di Treviso nella Sala dei Trecento: da questa mostra il Polittico uscì molto pubblicato ed avvantaggiato, perché fu consolidato nelle tinte e dopo due anni restituito alla Cittadinanza nostra. Nel 1972 fu « avvelenato con bromuro di etile » (il gas delle camere a gas dei campi di concentramento dei nazisti contro gli ebrei!) per impedire che qualsiasi tarlo ne intaccasse la struttura lignea. Ora è oggetto di molte visite ed anche di studi: Don Mario sta curando una bella pubblicazione con molti professori, anche inglesi. Per molte altre notizie basta leggere STORIA di MIGLIONICO del RICCIARDI e si possono sapere. Invece ci tengo a sottolineare qualcuna delle scoperte fatte e di cui non si parla nel libro sopradetto: e pensare che di alcune siamo stati noi ragazzi ad essere i primi a sapere: voglio parlare di queste. Con mio cugino nel 1966 presi parte ad una bellissima ripresa televisiva intitolata

LE TALPE DI MIGLIONICO

perché allora si scoprì che alcune tele dipinte della Chiesa Madre erano di grossi autori: una grande tela con la Madonna Assunta del Tintoretto, un grande pittore veneto del sec. XVIII. due altre tele del Quercino un grande pittore della scuola bolognese dello stesso tempo, una grande Deposizione di scuola michelangiolesca, una via crucis del Giordano e scolari come pure un giornalista di Avellino, il Russoniello, il soprintendente del restauro di Bari Schettini, ed altri studiosi con Don Mario scoprirono che

ANDREA MIGLIONICO

pittore allievo del Giordano di Napoli, era nato a Miglionico, aveva operato a Miglionico ed era morto a Ginosa Marina, patria di provenienza. Attualmente si stanno facendo delle ricerche su questo Autore e si sta mettendo un po' a soqquadro anche le Enciclopedie perché confondevano il nostro illustre concittadino Andrea Miglionico con un altro pittore, pure giordanesco, ma non concittadino, il MALINCONICO. Il nostro concittadino visse nel sec. XVII: nell'archivio parrocchiale di Miglionico c'è l’atto di battesimo e di matrimonio, con la variazione della morte; ebbe 12 figli tutti vivi che « lavoravano », solo due però diventarono pittori come il padre. Fu anche perseguitato dalla « Gendarmeria » di Miglionico perché era « troppo libero e scostumato nelle raffigurazioni » e si arrivò a tal punto che lo studio dove lavorava fu requisito e dentro vi fu messa la « Gendarmeria », fino al 1848: era l'attuale farmacia. In quell'anno arrivarono le truppe reali contro i briganti ed allora il ricordo fu insabbiato. Ora sta uscendo: ho visto delle fotografie dei dipinti del Miglionico e sono molto belli. Con Don Mario ne ho veduti moltissimi provenienti dal Seminario di Conza, dove erano stati trasportati e nascosti insieme al « Tesoro dei Revertera » di Salandra, che dopo la soppressione della Feudalità in Italia Meridionale nel 1829, essendo gli ultimi Signori di Miglionico, portarono via tutto ciò che nel Castello vi era di bello e prezioso: tele, ori, monete, mobili, abbigliamenti preziosi ecc. e depositarono nei sotterranei della fortezza di Conza, diventata poi Seminario Vescovile Papale e solo nel 1975, per motivi di restauro, svuotati i depositi fu ritrovata tanta roba: anche se in condizione non buone... e non per tornare a Miglionico! A proposito di ritrovamenti: con Don Mario abbiamo ritrovato copia di scritti latini con dedica autentica di Mazzone ed anche dei suoi paramenti e sigilli, nel muro dietro l'altare della Chiesa del Convento: cose molto belle e ben conservate.

Dovrei parlare a questo punto delle altre grosse scoperte fatte nelle CHIESE di MIGLIONICO: la Cattedrale con gli scavi della civiltà precristiana fino ad oggi, della Chiesa Civica di E. Fieramosca, della Materdomini, ecc.: ma farò qualche altra volta un trattato su questo. Invece non voglio tacere dei condottieri, perché la storia mi piace e perciò incomincio subito.

I CONDOTTIERI

Entrando nel CASTELLO, dall'attuale portone posticcio (perché eretto solo dopo il Terremoto del 1857 ed in cui andarono distrutti il ponte levatoio, l'ingresso, parte del lato destro del castello e « il fosso » per l'acqua: tipica difesa dei castelli medievali), si incontra uno stemma « a bucranio con cimiero cavalieresco, scudo con banda trasversale e tre colli »: è lo stemma degli

Sforza de Attendoli

illustre comandante della Compagnia di Ventura, morto al servizio del Signore di Urbino nel 1400. Altro condottiero che rese illustre il Castello di Miglionico è:

Ettore Fieramosca

che dopo la vittoria alla Disfida di Barletta si acquistò titolo per Viceré di Salerno, Conte di Miglionico e Signore dell'Acquara. A Miglionico, oltre d'avere illustrato la posizione strategica del Castello elevandone le mura e la merlatura, ha lasciato larga traccia nella vita civica istituendo e finanziando la Festa della « Madonna delle Grazie » e della Porticella (in concorrenza con la Puglia da dove proveniva!) dotando la Chiesetta Urbana di belle pitture e di pregiati affreschi, distinti dallo stemma familiare: il più completo ed ancora leggibile è La Natività di Maria Ss.ma del Sodoma, celebre per avere affrescate le stanze Vaticane; oltre che sul bronzo della Campanella, ancora appesa alla piccola vela del tempio votivo. Sul fondo sopra l'arco d'ingresso della porta vi è affrescato in stile secentesco, bello, l'offerta da parte dell'autorità ecclesiastica e di tutta la popolazione, con il Barone, della Comunità alla Madonna delle Grazie: particolare il capo ecclesiastico era Vescovo e vicino « l'abbas » greco. Detta Festa durava 7 giorni: l'ottava della festa veniva celebrata in campagna in località detta « Porticella di Pomarico » oppure « Porticella delle Grazie » (da distinguere da « Porticella di Matera » all'attuale altezza della Chiesa Rupestre del Peccato Originale alla Gravina).

Dette celebrazioni erano tanto fastose da essere dette « Festa principale » e resistono a tutt'oggi per solennità e perché è l’unica celebrazione che comporta « il palo della cuccagna ». Alla Porticella invece la festa sta assumendo il tono di una « vera sagra » con tre caratteristiche: religiosa, tipici piatti paesani, folklore dei « Pappaculumbriedd ». Ritornando sul nome della « Porticella » si deve ricordare che il terreno posto nella vallata del Bradano nel 1927 fu assegnato alla Associazione Nazionale Combattenti e Reduci... ma poi è ritornato per cessione ai primitivi proprietari che ben lo coltivano a grano duro, vino ed olivo.

Altra impresa che voglio ricordare:

la Battaglia in Agro del 1526

avvenimento che non ha un correlativo nella vita e nella storia della nostra comunità... per ritrovare qualche cosa di simile bisogna venire fino all'epoca dei Briganti e del Risorgimento: vere insurrezioni popolari, stile Masaniello. A ricordo suona a « due ore notte »: il rintocco. Non possiamo non ricordare l'apporto dato dalla « Rivendita di Miglionico » al risorgimento italiano: capeggiata dal giovane religioso Carmine Sivilia, con la diretta responsabilità del « Paglietta », l'avv. Giambattista Matera, il gruppo di 300 volontari raggiunse il corpo lucano a Corleto Perticara il giorno di S. Rocco 1860 e si uni alle truppe di Garibaldi a Maratea e diretto a Breccia di Porta Pia a Roma, vi entrò il 21 settembre. Però morirono quattro miglionichesi, cui è stata assegnata una medaglia d'argento, tuttora in possesso delle famiglie: Carmine Sivilia, Pietro Sivilia, Munno Michele e Musillo Michele. Il Monumento eretto in Piazza Castello ricorda molte imprese. Questa nostra terra ha dato oltre quanto detto anche magistrati, medici, fisici, vescovi e scrittori. E' in via di preparazione la celebrazione « il Centenario della morte del Ricciardi » lo storico, e certamente usciranno tante altre belle notizie, non ancora pubblicate. A Miglionico, molte sono le tracce del cammino glorioso di questa Comunità che testimonia, per chi vuole leggere, la vita gloriosa e la storia della terra di Cencree. Resterebbe ancora da descrivere quanto accadde nell'agro di Miglionico, nei fiumi e nelle fontane, nelle necropoli variamente disperse, disseppellite e svuotate. Voglio raccontare, così me l'hanno raccontato, il fatto dell'uccisione di due tedeschi alla Pila durante i giorni della liberazione del 1945... Per rappresaglia furono uccisi dapprima ben 10 soldati canadesi arrivati in quei giorni perché paracadutati in zona onde preparare l'arrivo delle truppe di liberazione. Poi i tedeschi minacciarono di distruggere Miglionico se non fosse dato in loro potere il gruppo dei « partigiani » che aveva compiuto l'eccidio... ma l'indiavolato intervento in tedesco del Parroco di allora Don Donato Gallucci riuscì a modificare i piani dei tedeschi, che abbandonando le loro postazioni alla Trinità, si rimisero in marcia verso il Nord. Allora ci fu uno spettacolo vergognoso: i Miglionichesi si diedero a spogliare le salme dei soldati canadesi uccisi e a depredarle, portando via tutto e tagliando perfino le dita della mano per togliere la fede nuziale ». Riaffiora così, dopo ogni evento bellico, l'istinto brigantesco... che per fortuna subito si placa e rientra nella zona del riassorbimento pacifista, proprio dello stile buono della nostra gente, cui appartengo e sono molto affezionato, tanto da soffrire immensamente quando questo patrimonio popolare, culturale e « nostro » viene meno o insultato. Sono proprio contento quando vedo che molti turisti vengono a visitare questa nostra Miglionico: ed ho appreso dai giornali che il nostro Comune è stato incluso nei giri turistici « pilotati » (cioè guidati con riferimenti culturali-sociali e storici) delle escursioni turistiche europee-ioniche. Compiti come questi sono molto belli, ma molto grossi e pesanti, per cui bisogna soltanto dire qualche cosa, credendo che molte cose si sappiano già, per non correre il rischio di scrivere un libro, che potrebbe fare anche una brutta fine in mano mia o del professore che lo dovrebbe leggere e poi mettere con me in discussione. C'è anche un punto che dovrò cercare di approfondire: il rapporto tra i grandi movimenti della cultura contadina con le personalità tipiche lucane: Levi - Scotellaro - Fiore Tommaso -Gramsci (di cui pochi giorni fa ha parlato la televisione) Salvemini e gli autori della «Questione Meridionale».

Miglionico. 15 maggio 1977

 


 

I DOCUMENTI

di Mario Spinello

TARANTO, 19 settembre 1942-XX
Corso Umberto, 117

Carissimo Nicolino,

ho saputo per caso che sei a Miglionico e per posta ti ho mandato una mia pubblicazione. Non è la Storia del Principato di Taranto per la quale avevo raccolto non poco materiale, ma che le vicende della mia vita non hanno consentito portassi a termine : fu un lavoro di occasione e lo rileverai leggendolo. Se non ci fosse di mezzo l'enorme ritardo — sarebbe ora opera vana voler tentare di giustificarlo — vorrebbe essere ricambio al bel lavoro sul nostro Castello, che da Taranto mi fu rinviato a Martina Franca, dove con la famiglia mi ero trasferito, dopo le incursioni dell'11 e 13 novembre. Lo apprezzai molto e te ne ringrazio ora infinitamente.

In una nota a pag. 26 della mia pubblicazione è ricordata la nostra Miglionico per la conferma che da Giovanni II ne ebbe lo Sforza (in calce la nota. N. del R.).

A questo proposito, nella nostra Chiesa, quasi nascosto dal Fonte Battesimale, e vi era e vi sarà ancora un antico quadro. Vi si vede, se mal non ricordo, la figura di un guerriero dinanzi alla Vergine. Quel guerriero potrebb'essere lo Sforza e forse il suo ritratto. In tal caso il quadro avrebbe un gran valore storico e forse artistico (n. r. : si tratta di tela del Palma il Giovane).

Poiché sei a Miglionico. fattone rimuovere con accorgimento il denso strato di polvere, che senza dubbio lo ricopre, cerca di esaminarlo : chissà che non ne venga fuori la firma dell'autore e qualche altra indicazione che confermi la mia ipotesi. Ci sarebbe riserbata forse una nuova sorpresa, dopo quella del Polittico di Cima da Conegliano. Ti sarò grato se vorrai farmene sapere qualche cosa.

E ancora. Nelle mie ricerche sul Principato di Taranto fatte nella Biblioteca Nazionale di Napoli e in quell'Archivio di Stato, non trascurai di prendere nota di tutto quello che mi cadesse sotto gli occhi, che riguardasse la nostra Miglionico. Sono così in possesso di non poche notizie, qualcuna molto interessante. Se tu fossi indotto a fare una terza edizione del tuo pregevole lavoro, raccoglierei questi miei appunti e te li manderei. Gradirò di avere il tuo preciso indirizzo di Roma.

La lettera non è di mio carattere : in seguito ad un'operazione di cateratta mal riuscita, l'amico tuo è diventato quasi cieco.

Con devoti ossequi alla tua gentile signora abbimi sempre

 

aff.mo tuo

PASQUALE RIDOLA (firma autografa).

 

 

Il « caro Nicolino » era il Sen. Nicola De Ruggieri.

La nota sulla pubblicazione: II Principato di Taranto, a pag. 26 dice :

«Attendolo Sforza era Conte di Cotignola. Passato ai servigi di Re Ladislao dopo la Battaglia di Roccasecca, ne aveva avuto in feudo le Terre di Miglionico, Tito e Pietrapertosa in Basilicata. Nel 1415 la regina Giovanna ne lo costituì "capitano"; vale a dire lo aveva a grado di vassallo maggiore. Più tardi nel 1417, la stessa regina gli concesse la facoltà di dividere tutte le sue Terre ai figli. (Sicola, rep. XXII, p. 32). Si trattava, dunque, di un feudo " reale " di sua natura indivisibile. V. Marino Freccia, De subfeudis Baronum et investituris feudorum - Napoli 1554 - f. 98 t.°) ».

 

APPUNTI BIOGRAFICI SUL PROF. PASQUALE RIDOLA

nato a Miglionico il 1-3-1860 e morto a Taranto il 17-3-1944

Nella lunga e luminosa scia dell'umanesimo lucano trova il suo posto il Prof. PASQUALE RIDOLA di Miglionico. appassionato cultore di storia, nella sofferenza familiare di riscoprire e di tramandare alle generazioni ciò che di bello e di fattivo era stato operato nel tempo e nei luoghi : sta bene in compagnia del congiunto illustre archeologo Sen. Domenico Ridola.

Nell'insegnamento della Storia dapprima e nella direzione poi. tenuta per vari anni, a Potenza dell'allora « R. Liceo-Ginnasio Salvator Rosa» (1914-1918) e a Taranto del «R. Liceo-Ginnasio Archita » (1923-1930), seguì con animo di appassionato studioso e cercò col senso della critica, sottoponendo al vaglio i più salienti avvenimenti delle « nostre terre », vetuste di molte antichità monumentali e delle tracce storiche delle varie civiltà, che hanno costruito la vicenda delle generazioni fino alla moderna, con momenti ora lucidi ora tenebrosi.

Aveva fatto gli studi liceali presso il Liceo di Altamura conseguendo con buoni risultati la maturità classica. Frequente i corsi universitari nelle facoltà di lettere e filosofia a Napoli, ove conseguì la laurea, svolgendo col Prof. De Blasiis la tesi in Storia Medievale « Federico di Antiochia ed i suoi discendenti », lavoro che trovò posto nel Fase. II dell'anno XI-1886, dell'Archivio Storico per le Province Napoletane. La sua perizia gli meritò, ancora studente, il titolo di socio della Società di Storia Patria di Napoli.

Senza perdere tempo, nello stesso anno della laurea 1886, vinse il concorso per la cattedra di Storia nell'allora Liceo Comunale « Archita » di Taranto. Tenne tale insegnamento anche quando il glorioso « Archita » diventò governativo nel 1888, e fino al 1914, anno in cui promosso preside, si trasferì a Potenza.

Del periodo di Taranto vanno ricordati i « Discorsi » in occasioni delle feste Scolastiche : erano le rivelazioni delle sue ricerche e dei saccheggi cui sottoponeva documenti e monumenti, per rivelarne il nesso storico : cosa che comunicava con grande efficacia e preparazione culturale : fra tutti resta « II Rinnovamento della Storia » pronunciato il 14-3-1892 al R. Liceo di Taranto.

A Potenza furono gli anni della prima grande guerra 1915-18 : lo storico cede il posto al patriota : visse quegli eventi con i colleghi e gli alunni, condividendo le ansie e le esaltanti ore della vigilia; accettò con trepidazione e fortezza le alternative delle vicende belliche. Vide partire ad uno ad uno molti dei suoi allievi più cari, che interrompevano gli studi liceali per rispondere all'appello della Patria in armi. Nella triste sorte della ritirata di Caporetto si prodigò ed accolse con cuore paterno i profughi del Friuli, che destinati a Potenza, furono accolti, in gran parte ed ospitati nelle aule del Liceo : per tutti trovava la capacità di essere aiuto prodigando assistenza morale, sociale e pratica: di ogni famiglia ospitata conosceva le necessità e gli interessi.

Nel clima della risurrezione della Patria, dopo la triste parentesi della disfatta di Caporetto, ebbe dal Ministero della Pubblica Istruzione l'incarico di tenere un ciclo di conferenze di contenuto storico-patriottico, dirette ad alimentare l'ideale della redenzione del Trentino e del Friuli. Fece sentire le passionali e vibranti aspirazioni nelle campagne di propaganda per i prestiti nazionali, (per cui ebbe due medaglie di benemerenza); per la Croce Rossa fece sentire a Professori ed Alunni come la Scuola viva della vita stessa della Patria.

Si allontanò dal Liceo di Potenza perché trasferito, su domanda, al Liceo : « Conti Gentili » di Alatri, onde avvicinarsi ai figli che frequentavano l'Università di Roma, nel settembre 1918, alla vigilia di Vittorio Veneto.

Qui la sua linea personale si affinò nella cultura della Scuola e della Famiglia facendo risplendere le doti dell' Uomo della Scuola e della sana Famiglia, nel culto dell'intimità e della sacralità della Vita Domestica, modellandosi su quanto di più nobile e sacro possa esistere.

Fu poi dall'ottobre del 1923 al 1930 preside del Liceo-Ginnasio « Archita » di Tarante Qui profuse la parte più nobile della sua intelligenza e si rivelò il vero grande Maestro ed Educatore; con spirito di innovazione precorse i tempi e tracciò nel ms della « Storia per i Licei » una ampia panoramica della vicenda che ben si addice alle modernissime regole pedagogiche; l'opera non ebbe termine perché l'Autore fu stroncato dalla morte.

A Tarante, dopo 14 anni di pensione, mentre partecipava, con animo angosciato, alla tragedia che viveva l'Italia in quegli anni, si spense.

In tutti lasciò largo rimpianto di Uomo. Studioso ed Educatore. La rivista « Japigia ». organo della Deputazione di Storia Patria per le Puglie, in occasione della Sua morte, nel suo notiziario, a cura del Direttore Giuseppe Petraglione, così si espresse :

«... studioso di larga preparazione, il Prof. Pasquale Ridola. portava nei suoi lavori, meditati lungamente e rivolti soprattutto all'illustrazione della storia tarentina, il rigore scientifico acquisito alla scuola di Bartolomeo Capasso, che lo ebbe tra i discepoli prediletti.

t Pochi ma buoni sono i saggi della sua attività di studioso e di maestro dati alle stampe. Eccone il breve elenco:

" Federico d'Antiochia ed i suoi discendenti : tesi di laurea, in Archivio Storico per le province napoletane " - anno XI 1886. fasc. II

" II Rinnovamento della Storia ". Discorso. Tarante, Tip. E. Latronico, 1892.

" 71 R. Liceo-Ginnasio ' Archila ' di Taranto dalla stia origine ". Brevi note. Taranto, Tip. Guernieri. 1925.

" Un Principe di Taranto di nazionalità tedesca ". Un po' di luce sul trapasso del Principato dagli Angioini ai Del Balzo Orsini. In Taranto per il Congresso 31° della " Dante Alighieri ". Taranto, Tip. Pappacena, 1926.

" II Principato di Taranto nell' Enciclopedia Italiana " nella Rassegna Comunale di Taranto. luglio e dicembre 1937.

Ha lasciato inedito uno studio su " Lo Statuto di Taranto per lo bono et quieto vivere"; incompleta pure è la sua maggiore opera " La Storia del Principato di Taranto ", come pure condotto a buon punto, ma interrotto è " Corso di Storia per i Licei ".

La Sua eredità è stata raccolta dalla moglie N. D. Maria Carano da Massafra e dai figli che in numero di sette allietarono la sua esistenza e ne imitarono il prestigio : Francesco, Caterina, Imelda, Mons. Michelangelo, Giuseppe, Dr. Ubaldo, vice prefetto, Avv. Dr. Riccardo Emanuele, Presidente di Sezione di Cassazione.

Dopo la moglie perdette i figli Francesco e Giuseppe, mentre la figlia Dottoressa Caterina lo ebbe per diversi anni preside nell'insegnamento della storia dell'arte all' " Archita " ».

GIURAMENTO DEI BRIGANTI

IN FUNZIONE ANTIUNITARIA - 1846

« Noi giuriamo dinnanzi a Dio e dinnanzi al mondo intero di essere fedeli al nostro amatissimo e religiosissimo Sovrano FRANCESCO II (che Dio guardi sempre), e promettiamo di concorrere con tutta la nostra anima e con tutte le nostre forze al suo ritorno nel Regno; di obbedire ciecamente a tutti i suoi ordini, a tutti i suoi comandi che verranno sia direttamente sia per i suoi delegati dal Comitato Centrale residente a Roma. Noi giuriamo di conservare il segreto affinché la giusta causa voluta da Dio. che è il Regolatore dei Sovrani, trionfi con il ritorno di Francesco II. Re per grazia di Dio, difensore della Religione e Figlio affezionatissimo del Nostro Santo Padre Pio IX. che lo custodisce nelle sue braccia per non lasciarlo cadere nelle mani degli increduli, dei perversi e dei pretesi liberali, i quali hanno per principio la distruzione della religione, dopo aver scacciato il nostro amatissimo Sovrano dal trono dei suoi Antenati. Noi promettiamo anche, con l'aiuto di Dio. di rivendicare tutti i diritti della S. Sede e d'abbattere il lucifero infernale Vittorio Emanuele e i suoi complici.

Noi promettiamo e lo giuriamo ».

ATTO DI VENDITA

DELLO STUDIO DEL PITTORE A. MIGLIONICO

(dal vol. dei Battezzati 1764)

Avanti li Magistrati Actuali Governanti dell' Università di questa Terra di Miglionico in provincia di Basilicata compariscono Innocenzo Ricciardi e Diego Caldone speziali di Medicina di detta Terra e dicono come il detto Innocenzo e Diego per causa etica ed altri urgentissimi affari intendono sfrattare il dipintore Andrea Miglionico ed usare il detto locale ad etico impiego di gendarmeria e trascorso il tempo di ritornare l'uso a spezieria da affidare dalla fine dell'annata millesettecentosessantaquattro alla fine di tutto settembre del prossimo ricorrente anno. Pertanto formiter rinunciano in mano d'essi Governanti per il servizio suddetto, alli quali consegnano li chiavi non intendendo esercitare spezieria nel contempo della destinazione suddetta a favore. Fede così dicono e così sottoscrivono.

Miglionico, 30 settembre millesettecentosessantaquattro.

Firme :

Io Innocenzo Ricciardi rinunzio, compar.

Io Diego Caldone rinunzio come sopra.

Autentica:

Che le firme apposte sotto di propria mano dalli mag.ti Innocenzo Ricciardi e Diego Caldone, speciali di medicina in terra di Miglionico in Basilicata. Io reg.o Not.o Angelo San.o Piccinno di detta Terra in Basilicata richiesto ho scritto e signato col mio sigillo legale di legno.

(segue sigillo)

 

ATTI DELLA CENSUALITA’ A S. CARLO DI LECCE

DEL CAPITOLO DI MIGLIONICO

dal volume dei Battezzati del 1742:

Dichiaro io qui sottoscritto come Procuratore dell' Em.mo Cardinal Selva, in questa Terra di Miglionico, haver'avuto l'annuo censo di carlini 6 che paga questo Rev.do Capitolo, a detto Em.mo, come beneficiato di S. Carlo di Lecce, e per esso dal Rev.do Sig. D. Giuseppe Salluce, come procuratore ad esigendo di detto Rev.do Capitolo e detti sono per l'annata maturata a quindici d'Agosto millesettecentoquarantadue. Onde a cautela del med.mo Cardinale. Io sottoscritto : Cesare Carrelli dichiaro nel San.ta.

Segue atto di censo di carlini 6 a favore del Beneficio di S.ta Maria delli Martiri a favore di Mgr. Conv. di Fra De Robertis della città di Matera.

Segue ancora censo di carlini 6 al Procuratore dell'Arcivescovo di Matera esatti dal procuratore Mensale di Matera.

Ed altre molte ricevute di interesse storica e giuridico.

A proposito di S. CARLO BORROMEO si deve notare che in tutte le numerose Chiese di Miglionico vi è pittata l'Immagine. Nella Chiesa Madre in una tela del Palma il Giovane, di cui al documento di P.Ridola.

Nella Chiesa ex Convento in una tela di Girolamo Todesco del 1618.

Nella Chiesa civica S. M. delle Grazie su un tondo sovrapposto ad altri affreschi, risalente alla seconda metà del sec. XVII. Ugualmente compare sempre tra i Santi Protettori citati nelle pergamene, del privilegio dell'istituzione.

PER LA STORIA

DELLA CONGIURA DEI BARONI

di G. Palladino

«... Uno degli episodi più notevoli e caratteristici della congiura fu il convegno di Miglionico. Ma di esso finora si sapeva ben poco, per non dire quasi nulla, tanto che Porzio, il quale vi accenna appena, vi fa intervenire il Re, senza badare che se vi fosse veramente andato, non sarebbe uscito incolume dalle mani dei suoi terribili avversari. Qualche cosa intorno all'avvenimento caviamo inoltre dalle indagini giudiziarie eseguite dopo l'arresto dei Baroni, il cui risultato venne raccolto nei noti Processi. Ma questi, compilati per ordine sovrano, e dati alle stampe per giustificare l'operato del re di fronte al Pontefice, non furono ritenuti attendibili, per cui ci fu bisogno di nuove fonti attendibili e sono i dispacci del Bendedei. che portano tanta verità sul contegno del Re e sulla infedeltà di Innocenzo VIII... Il re fin da principio preferì risolvere pacificamente le divergenze con i Baroni e questo sia per motivi finanziarii, sia per le condizioni politiche generali d'Italia. Ragioni non diverse consigliarono il re ad accettare l'invito ad un nuovo convegno, che avrebbe dovuto tenersi a Sarno, ma che in realtà non ebbe luogo perché egli, avvertito a tempo del tranello che gli era stato teso non andò oltre Noia. Dalle trattattive per questo nuovo convegno scaturì la missione di Federico d'Aragona a Salerno e le geste d'Alfonso d'Aragona contro Roberto Sanseverino ed i Baroni dopo la firma della pace dell'11 agosto 1486. Mentre infatti Alfonso d'Aragona agiva fuori del regno contro il Sanseverino. gli altri principi reali: Federico. Francesco, Cesare, Ferdinando, aiutati dai baroni fedeli, combattevano gli avversari negli Abruzzi, in Puglia, attorno a Benevento e nei Principati. Le trattattive che condussero alla pace dell' 11 agosto 1486 ed il contegno che durante lo svolgimento di esse tenne Roberto Sanseverino hanno richiamato l'attenzione degli storici perché fu amico poco fedele del Pontefice che l'aveva al suo servizio. E v'è di più : che alla fine del 1485 lo stesso re Ferdinando, tentò invano di seminar: zizzania fra il famoso capitano ed il papa, allo scopo di sottrarre al pontefice il valido aiuto. Ebbene fu questo precedente che indusse il Sanseverino ad aprire trattative di accordo con gli Aragonesi, senza trascurare gli interessi della Chiesa e dei Baroni: ma le cambiate situazioni militari e politiche del re sortirono il rifiuto. Innocenzo VIII era disposto a venire a trattative col sacrificio dei baroni, Ferdinando che prima aveva voluto evitare la guerra, ora la protrae per ridurre l'avversario alle strette e così dettare la pace. Eppure non ottenne una sola delle cose più desiderate: non l'esenzione dall'integrale pagamento del censo, né la resa a discrezione dei baroni, con l'obbligo da parte dei pontefice, d'intervenire anche con la forza, qualora i ribelli non si piegassero. Però per il Re Ferdinando non fallì due giorni dopo la firma della pace l'arresto dei traditori, per il Petrucci, i suoi figli, il Coppola: infatti essi avevano messo a serio pericolo il re, almeno una volta, a restare prigioniero dei ribelli.

Ferdinando nel secondo Processo fece pubblicare anche gli atti contro l'arresto del Principe di Altamura e degli altri Baroni. Le accuse contro il re sono di avere violato i patti della pace, (finta?) di aver tolto il concesso perdono degli errori passati e di avidità d'impossessarsi dei tesori dei ribelli con vendetta, celando questo basso egoismo sotto il pretesto di colpe inesistenti. Questi sono stati i capi d'accusa contro il re fatti dal Papa per il legato Piero Manzi, vescovo di Cesena: Ferdinando aveva già risposto accusando i baroni di nuove macchinazioni contro lo stato nei segreti rapporti con i nemici della Casa d'Aragona, dopo la pace e l'omaggio di fedeltà. Carlo Sanseverino, conte di Mileto, venne a Napoli a giurare fedeltà e poi a Lacedonia congiurò, così pure nelle riunioni di Venosa. Vedi documenti seguenti:

 

... Antonello Sanseverino ricevette davvero aiuti dai Genovesi. E' del più alto interesse conoscere il nome del Barone, che teneva informato il re dei vari intenti dei congiurati nell'atto in cui fingevano di voler accordarsi con lui. E dagli scarsi accenni sui Processi sembra che questa debba gravare o sul principe di Bisignano Girolamo o sul duce di Nardo: ma il principe di Bisignano era assente da Venosa e quindi non restava che il duca di Nardo Angliberto del Balzo: il re apprese le mene dei congiurati da un " certus auctor ".

 

... XXXVI Id. Foggia, 28 settembre 1485.

Ill.me princeps ... el secretano, scrive per l'ultime sue, che erano in camino per andare a Miglionico et li era el gran Sinischalcho cum tri cavallii solum, dove essi del Re erano cum più del XXV. Scrive però chel Principe d'Altamura non li ha voluto venire cum loro per certo suspecto li e venuto in capo; ma non de mancho che sua M.sta stii di bona voglia, che per questo non succeda laccordo, e cussi spera li condura ali pedi de Sua M.stà. De che S. M.sta dixe, licet el Segretario scriva cussi gaiardamente, tamen dubita assai sera inganato et parli che dicto segretario per la sua buntà creda più non bisogni, subiungendo che fa gran caso che esso Principe hora non habii voluto andare a Miglionico come sempre ha dicto et offerto andarli. Ulterius il pare gran facto che sei papa intendesse che per lo vero li baroni fusseno in bona dispositione de accordarse cum lui, S. Sta potesse perseverare in fare quello fa et preparare da ogni banda contra Sua M.sta.

P. S. - Non obmettere chel principe de Altamura, quantunque per allora dicesse non volere andare a Miglionico, tamen el di seguente gli andaria.

 

... XXXVIII Id. Foggia, 30 settembre 1485.

Ill.me princeps. Su l'hora de vespero giunsero littere del secretario dte pridie. che fumo 29, in Miglionico, el quale scrive che. essendoli venuto eiam il principe de Bisignano. monstra sii pur molto umbroso de la sicurtà sua et, per opera del Siniscalco, è stato contento che andando a Matera secretamente Don Federico, gli parlarono voluntieri. Et per effetto el Segretario per parte loro, sed praesertim del Siniscalco, ha pregato il Re gli lo vogli mandare. Unde che Sua M.sta fece chiamare nui oratori, et post multa fu concluso che. poiché la S.ta Sua era qua venuta, magiormente dovea mandare et figlio per non lassare cossa a fare, che sii sta richiesta da loro, et praesertim che poteriano esser voriano fare questo accordo per più suo onore cum figlio regis quam cum alio, sed praecipue per che l'andata sua salterii se ne caverà la totale resolutione della conclusione o dela dissolutione. Et cussi ha deliberato Sua M.sta quantunque creda siano parole, tamen subito li vadi et secretamente cum sei cavalli, andando a Matera larga da Miglionico miglia sei, et li pigliara l'ordine de parlare cum loro in quello loco meglio li parerà.

 

... XL Id. Foggia, 2 ottobre 1485.

Deo sit semper laus et gloria! Tornato el Secretano cum el conte del Sarno da Miglionico cum la conclusione dela pace, el Re subito me dixe chel Secretano havea reportato la fermeza dela pace conclusa et stabelita cum lo principe d'Altamura; lo principe de Bisignano, cum el gran Sinischalcho et cum el messo del principe de Salerno, subscripta de manu loro propria et sigillata del sigillo de ciascun de loro cum quilli capituli che sono restati dacordo. et tali che S.a M.sta ce dixe altri non poteriano più satisfare per essere honesti et justissimi. Uno dei primi e che Don Federico pigliara per moglie una figlia del gran Sinischalcho de età hora circa 8 o 9 anni. (Due figliole ebbe Pietro Guerara da Gisotta Ginevra del Balzo; forse qui si allude alla primogenita Eleonora che il re voleva dare in moglie a Pietro d'Aragona). El Principe del Bisignano dice non ha domandato cosa alcuna se non che, havendo impegno una sua gabella per 18 mila ducati, fra un anno li ha a dare Sua M.sta et lui rendere la gabella (così detta delle sete), et fra lui e Sua M.sta non li è sta mai differenza alcuna, ni etiam fra el principe de Salerno. el quale non ha richiesto covelle. Et in paucis Sua M.sta e molto consolata, imponendone che subito vogliamo scrivere questa bona nuova alii S.ri, li quali pero non voglino desistere da le provisioni già facte, ad ciò, sei S. Ruberto contro la volunta dela Signoria volesse passare, et N. S. non volesse desistere dall'impresa pur per fare guerra al Re. le provisioni possano obstarli et giovare quanto sera necessario.

M. Anello ha scripto da Roma, per sue de XXVII, come in Roma era giunto uno messo del princ. d'Altamura et del Gran Sinischalcho retornato dal Prefecto, al quale haveano scripto et lui referito per parte loro, che più non se affaticasse in nome di N. S. per sue S.rie. non essendo più bisognio, poiché erano composti cuna el Re ».

 

(Documenti inediti dell'Archivio Estense - 1485-1487)

Estr. dall'Arch. Stor. per le Prov. Nap. - Anno V, VI, VII, IX.

Aquila - Officine Grafiche Vecchioni - 1925

 

C. Porzio - La Congiura dei Baroni del Regno di Napoli 1495 Edizioni scientifiche italiane - Napoli 1958.

 

«Né va taciuto l'infelice Giannantonio de' PETRUCCI, conte di Policastro, figlio del famoso Antonello Petrucci, nato a Teano. coinvolto al pari del padre nella Congiura dei Baroni e giustiziato in Napoli 1' 11 dicembre 1486. all'età di trent'anni. Giannantonio scrisse in carcere, nella torre di S. Vincenzo, nei quattro mesi che vi dimorò, il Canzoniere che consta di 83 Sonetti. All'infelice de' Petrucci s'interessarono gli studiosi della letteratura ».

da « SAGGIO DI BIBLIOTECA BASILICATESE »

di C. G. Gattini - 1908

AQUILEO GIOVANNI da Miglionico, professore di diritto, di cui leggesi una « lettera » nell' « Artis Notariae » dello Spelungano, pubblicata dal Not. Alessandro Dell'Aquila, come sotto questo nome.

BILLOTTA PIETRANGELO da Miglionico, n. 1750 m. 1806 (Ricciardi). Fu Canonico, filosofo ed umanista, che prima resse ed insegnò nel Seminario di S. Severo, e poi in quello di Matera. Lasciò manoscritti :

1) Corso di Filosofia,

2) Storia delle antichità romane.

3) Componimento poetico in greco, latino e volgare.

CATALDO MATTEO da Miglionico, canonico eruditissimo, che tenne scuola in patria e vi morì nel 1619 (Spera).

DE RUGGIERI DOMENICO da Miglionico, (n. 1715), avvocato di vaglia e strenuo difensore del proprio paese contro il feudatario il Duca della Salandra. V'ha di lui non poche allegazioni giuridiche.

ETTORRE GIROLAMO da Miglionico, arciprete, canonista esimio e familiare di Mons. Sigismondo Saraceno, arcivescovo di Matera, di cui fu Vicario Generale e morì circa il 1584.

FERRATI GIOVANNI da Miglionico, uomo di molta dottrina e di specchiati costumi, fiorito nel sec. XVI. fu abate del Monastero Ligno Crucis di Corigliano (Ricciardi).

FERRATI VITO consanguineo del precedente, dotto soggetto anch'esso ed arciprete della sua patria, nel 1510 venne eletto Vescovo di Motola; m. circa il 1538 (Ricciardi).

GIGLI TOMASO ANTONIO da Grottole, n. 1772-1865, dei Minori di S. Lorenzo Maggiore in Napoli (D'Avino, Del Pozzo, Martuscelli). Fu ivi esaminatore prosinodale, membro del Collegio dei teologi: indi professore del Seminario di Potenza in teologia; nel 1832 creato Vescovo di Muro Lucano. Venne per un decennio ad amministrare le S. Cresime ed a celebrare la Festa di S. Antonio a Miglionico.

GIROLAMO da Pisticci, dei Riformati della prov. Basilicata, scrisse la « Vita di P. Eufemio Matera da Miglionico ». Nap. 1666.

GUERRA GIUSEPPE da Miglionico, n. 1730 m. 1809, dei Minori Osservanti riformati e buon teologo, nonché definitore, custode e padre della provincia monastica (Ricciardi).

GUIDA GIROLAMO da Miglionico, dottor legale, nominato nel 1862 Agente Demaniale del Comune di Matera, diede alle stampe il libro delle sue « Memorie » Matera, Tip. Conti, 1889, interessanti per notizie contemporanee.

MATERA EUFEMIO da Miglionico, dei Min. Osservanti, pio e dotto soggetto che fu Provinciale della Provincia di Basilicata (Ricciardi). Lasciò varie opere mss al presente in gran parte smarrite. (Ritrovate nel carteggio del monaco Corleto. Nota del r.).

MAZZONE GIROLAMO da Miglionico (Toppi, Allacci, Del Re). Ottimo poeta che fu il primo a ridurre in prosa drammatica il « Goffredo di Buglione » del Tasso; Napoli appresso Ottavio Beltrano 1630 in-12, in verso.

MAZZONE MARCANTONIO altro letterato da Miglionico (Toppi, Del Re, Allacci). Scrisse:

Fiori della Poesia, dichiarati e raccolti da tutte le opere di Virgilio, Ovidio, et Oratio: Venetia 1594 in-4, biblioteca exotica.

Oracolo sulla lingua latina, Venetia 1644 in-8, ristampato ivi, appresso P. Baglioni 1665 in-12.

MORELLI PETRANTONIO da Miglionico, n. 1764 m. 1832 (Ricciardi). Laureato nell'uno e nell'altro diritto, facondo oratore e filosofo, in quest'ultima qualità fu per più anni insegnante nel Seminario di Tricarico e poi arciprete in patria.

MORELLI MARCO dell'istessa famiglia, pubblicò alcune memorie agrarie sul Giorn. Econ. Lett. di Potenza 1841-50.

NOVELLI o DE NOVELLIS GIUSEPPE da Miglionico, buon legale, fiorito nella prima metà del sec. XVIII, lasciò alcuni mss. sulle Pandette (Ricciardi).

NOVELLI P. GIUSEPPE fratello al precedente, n. 1708, e col di lui nome professato nell'Ord. dei PP. Predicatori, fu esaminatore Sinodale da parte degli Arcivescovi di Matera e provinciale dell'Ordine. Diede alle stampe: varie orazioni : Nell'apertura del Capitolo per l'elezione del Generale dei PP. Predicatori in Roma; Panegirico di S. Benedetto nella Chiesa delle Monache di Donnaromita in Napoli. 1773; Quaresimali a Napoli.

NOVELLI P. DOMENICO della stessa famiglia, valentissimo Maestro Domenicano, m. in patria il 1810.

ONORATI ANGELO MICHELE da Miglionico, già arciprete della sua matrice, indi Vescovo di Tricarico, V'ha di lui « Breve esame critico sulle Notizie Storiche di Miglionico istesso scritte dal Can. Teodoro Ricciardi. Napoli 1869 » - oltre alcune lettere pastorali e « Ora di agonia della B. V. Addolorata ».

PELLEGRINO FRANCESCO da Miglionico, n. 1718 m. 1774 (Ricciardi). Sacerdote eruditissimo nelle scienze sacerdotali e legali. Fu vicario generale del Vescovo di Venosa ed indi dell'Arcivescovo di Matera. Mons. Parlati, che gli ottenne la bolla pontificia dell'arcipretura del proprio paese, dove morì.

RICCIARDI DOMENICO da Miglionico, Padre Maestro Domenicano, diede alla luce un «Quaresimale», Napoli 1781, esaminatore sinodale e buon predicatore.

RICCIARDI TEODORO della medesima famiglia, canonico, filantropo e studioso di cose patrie, n. 1812 m, 1876. Scrisse:

— Il Ferrante, tragedia, Napoli 1862:

— Notizie storiche di Miglionico, precedute da un sunto storico dei popoli dell'antica Lucania. Napoli 1867, con tav. in-8.

— Un viaggio alla S'iritide e particolarmente a Pandosia. Napoli 1872 in-8.

SALLUCE DOMENICO da Miglionico, n. 1773 m. 1831 (Ricciardi). Cantore, letterato ed archeologo, insegnò nel Seminario di Matera e rimase manoscritta ed incompleta una interessantissima « Dissertazione numismatica intorno a monete greche, romane ed ebraiche ».

STABILE FRANCESCO nato anche in Potenza (o a Miglionico, come dicono i registri dell'archivio parr.le n. del r.) 1801 ivi m. 1860. Fu compositore di Musica e studiò nel Conservatorio di S. Sebastiano in Napoli (Fétis, Florimo. Pougin, l'Avvenire di Potenza An. 1 n. 72). Scrisse :

— Lo sposo al lotto, operetta comica sul libretto di Andrea Passaro, 1826, eseguita sul teatrino del Collegio;

— Palmira, melodramma in 2 atti, su libretto di Felice Romani. 1836, rappresentato al Teatro S. Carlo in Napoli;

— Braccio da Montone, melodramma eroico, su libretto di Pietro Micheletti, 1848. che non vide la scena.

— ecc.

ALIANI GIUSEPPE da Miglionico, ispettore scolastico, scrisse:

— Geografia storico-descrittiva della Basilicata, Matera. Tip. Conti 1884, in-8, ristampato a Potenza 1886.

— L'educazione morale nella scuola elementare ed i mezzi educativi che rendono efficace l'opera del Maestro. Torino 1890.

— Il fine principale dell'insegnamento elementare; considerazioni pedagogico-didattiche. Torino 1891.


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